E ci ha lasciati anche Gigi… In memoriam Gigi Bortoli
Di Gigi diranno tanto in tanti, lui che è stato una delle colonne portanti della cultura libera a Merano, di quelle che negli anni in cui vigevano oscurantismi, revanchismi e poca fantasia avevano dato un contributo sostanziale alla nostra piccola, locale rivoluzione dei costumi. Di tutto quello che Gigi ha fatto a Merano e per Merano non sono in grado di parlare, ma vorrei rubare qualche riga per ricordare il Gigi che ho conosciuto.
Mi ha conosciuta prima lui, in realtà. Amico dei miei genitori, appena gli fu comunicato che mi avrebbero chiamata Giorgia, mi dedicò “Georgia on my mind” in radio. A quei tempi era il Gigi della radio, quando le radio che non erano la RAI si chiamavano ancora “libere”. Mi regalò anche un orsetto carillon, che fu l’inseparabile compagno dei miei primi anni di vita.
Gigi era quindi inevitabilmente associato alla musica fin da subito. Ma lo fu sempre anche in seguito. Quando gli amici e i fratelli musicisti muovevano i loro primi passi nelle jam session dell’est ovest, o nei concerti incerti nei locali della Merano alternativa di allora, era Gigi a raccontarne il potenziale, a incoraggiarne il talento. Se ne usciva un articolo sul “suo” Alto Adige potevi dirti arrivato.
Da grande imparai ad associarlo anche ad altro: alla fotografia, alle chiacchiere al bar la mattina, quando con gli amici di sempre commentava gli scempi vari della politica del momento, e anche al lavoro. Gigi è stato a lungo la sponda della mia sporadica attività di ufficio stampa per varie manifestazioni, sempre pronto a brontolare e lamentarsi di qualcosa (“troppo formattato, troppo poco formattato, troppe foto, troppe poche foto, troppo presto, troppo tardi”) e allo stesso tempo sempre pronto ad esserci, macchina fotografica al collo, e a lottare con le redazioni per far uscire il pezzo.
Del nostro est ovest, che ogni tanto era stato anche suo, aveva avuto slanci di apprezzamento e rimbrotti di frustrazione perché “scrivete troppo in tedesco”. Però quella Merano nata e cresciuta un po’ fuori dagli schemi, che pulsa di musiche ruvide e comunanze oneste, era anche la sua, quella in cui aveva cominciato a muoversi, postino, e di cui aveva finito per diventare un personaggio imprescindibile. Tra le nostre mura in vicolo Passiria è passato più volte, come giornalista, fotografo, moderatore… negli ultimi anni molto poco come semplice avventore, “fate musica troppo da giovani”, mi aveva confidato, lui, tanto promotore delle avanguardie quanto cultore dell’amarcord.
E del ricordo aveva fatto un’arte, anzi forse un artigianato. Documentava con milioni di foto, che ho avuto il privilegio di visionare nel suo immenso archivio digitale, passaggi, presenze, momenti e intimità di Merano. La musica era il suo primo amore, ma tra i suoi scatti si trova di tutto. Almeno tutto quanto passato sulla scena culturale della città. Ne ha raccolto un significativo compendio nel suo libro “Meran/o My Generation”, che noi di est ovest abbiamo avuto il piacere e il privilegio di pubblicare insieme ad Alpha Beta, per la cura di Sonja Steger e Toni Colleselli. Oggi apprezziamo ancora di più la scelta, tanto felice, quanto doverosa, di documentare il Gigi che documentava.
Lo scorso dicembre mi avevano detto che era ricoverato. Quegli annunci resi scuotendo il capo e alzando le spalle. Invece due giorni dopo me l’ero ritrovato davanti al ristorante cinese, lungo lungo, lento lento, con un sorriso che gli riempiva tutta la faccia. Come va? gli avevo chiesto. Classiche domande che poni sentendoti stupido, ma che se non ponessi ti sentiresti stupido lo stesso. Aveva sorriso, allargato le braccia: “Bisogna godersela, finché ce n’è.” Semplice, onesto, diretto. Ti prendiamo in parola, Gigi.
testo: Giorgia Lazzaretto